Perché godiamo così tanto della foto dei reali in finale? Iconografia dello scontro. Da una parte i reali attoniti, dall’altra i giocatori semplici. In queste due immagini, che hanno segnato la finale 2021 dell’europeo di calcio, c’è la potenza dell’iconografia nello scontro.
In questi giorni nei social impazzano gli ‘sfottò’ verso la famiglia reale. La vittoria in finale della nazionale italiana di calcio, sofferta e protratta fino all’ultimo rigore, ha aperto la strada alle boccacce, ai meme e alle risate verso Elisabetta e corona tutta. Da una parte vige su ogni altra la fotografia della famiglia inglese eletta per eccellenza, William&Kate con figlio. Immobili, come pugili snob dopo un sonoro gancio al mento.
Dall’altra (mi si permetta il ‘gancio‘ storico) Gassman in tutte le sue facce alla fine del film ‘In nome del popolo italiano’, di Dino Risi, mentre interpreta il vero popolo che si unisce in maschere spaventose alla vittoria della nazionale.
Questi due contrapposti, a parere di chi scrive, rappresentano bene due diverse concezioni della vittoria e della sconfitta, di come diversi popoli nella storia hanno inteso la contesa e la guerra.
La versione inglese
Guardando l’immagine della famiglia reale allo stadio di Wembley, diventata ormai di sberleffo nazionale, vediamo prima di tutto il riserbo. Siamo abituati a pensare alla corona inglese come simbolo di eleganza, posture costruite, etichetta di corte e, forse soprattutto, pretesa di superiorità.
Quello che affascina un intero popolo è che quel riserbo sembra vacillare: in tutti e tre lo sguardo è attonito, incredulo. Hanno perso nonostante tutto. L’italiano capisce che vorrebbero insultarci, scendere al nostro livello, farci un bel dito medio, e lo capisce da quello sguardo che lascia, finalmente, trapassare la loro appartenenza al “siamo tutti così”.
Anche il bambino è trattenuto, come a intendere che i genitori sanno di doversi contenere, ma il bambino potrebbe lasciarsi andare. In tal modo la scena è ancora più gustosa. Sono caduti dal trono e gli si vedono le mutande!
La versione italiana
Dalla nostra parte c’è Mattarella a fare da contraltare, ma sono scettico: sembra quasi una forzatura istituzionale far girare così tanto l’immagine di un braccio un po’ levato della carica dello stato e rilanciare con i paragoni con Pertini. Questa di Mattarella non ha nulla dell’iconografia. Non trasmette entusiasmo ma quella “sana appartenenza” all’idea di nazione che le segreterie istituzionali battono quando vogliono dettare l’agenda politica.
In verità dall’altra parte abbiamo le valanghe di meme sui nostri giocatori che fanno in continuazione il gesto dell’italiano nel mondo, presi in giro fino all’altro giorno. Un gesto semplice, che il mondo vede come appartenente a una cultura dei campi e delle mani, le stesse che fanno il cibo e il vino migliori (per questo apprezzato) ma anche che fa storcere il viso e il corpo in maniera preistorica (per questo irriso).
Due concetti diversi di vittoria e sconfitta
Ed eccoci al punto. Se gli inglesi avessero vinto siamo tutti d’accordo che la famiglia reale avrebbe elegantemente applaudito, cercando di nascondere il sorriso spalancato così come ha cercato di nascondere la batosta.
Se gli italiani avessero perso, avremmo battibeccato, ma ci saremmo comportati più elegantemente di come abbiamo visto comportarsi i tifosi inglesi (vedasi bandiere italiane calpestate e rifiuto delle medaglie d’argento).
La differenza fondamentale, sempre a parere di chi scrive, è che per popoli come l’Inghilterra il concetto di vittoria rappresenta la giusta e degna fine di ogni battaglia. “Is coming home“, frase che li ha accompagnati durante il torneo, riflette bene questa idea: il trofeo è giusto che sia in mano inglese. Per questo motivo la vittoria deve essere sempre elegante e pacata, ‘Churchilliana’, perché è solo la giusta fine di chi “studia la storia“. Ad aiutare questa linea c’è la rappresentanza reale, lasciata a una famiglia malata di etichetta. Ma anche questa scelta riflette un’impostazione chiara.
La vittoria italiana, invece, ha da sempre il sapore della rivalsa: un popolo caciarone, pieno di difetti e gesti volgari, ma che rimane imprevedibile, sorprendente, che può vincere… ma che quando non vince, in fondo, accetta che sia giusto che altri abbiano lo scettro… noi non lo sapremmo gestire.
La miopia di entrambi
Questi sono due approcci alla battaglia che possiamo ritrovare nella storia dei popoli, con esempi e campagne politiche che battono più o meno nelle due direzioni (non sono abbastanza conoscitore di storia per saper dire se questa differenza, che oppone molti popoli europei, sia anche precedente ai trattati di Versailles, che di sicuro la aiutarono parecchio).
Sono però certo che entrambi gli approcci alla battaglia causino miopie molto gravi agli spettatori dello scontro. Non mi soffermo sulle miope inglesi, non le conosco abbastanza. Su quelle italiane però sì: la nostra accettazione caciarona delle cose che non vanno (ma che secondo la vulgata sono le stesse ce ci fanno vincere in fin dei conti) ci fa vedere molte cose distorte. Ci fa dimenticare di come Vialli, assunto a simbolo degli abbracci tra connazionali, fosse vergognoso nei processi di calciopoli (parere personale, naturalmente), di come ogni presidente della Repubblica, assunto santo col mandato, scompaia in una nebbia di strategico silenzio appena cessato l’incarico (vedasi Napolitano), di come quei giocatori che lottano contro la snobbery inglese per l’Italia siano i primi a volerne fare parte con contratti milionari che se ne fregano della passione del tifoso (io non gli do torto, sia chiaro, ma mi pare sempre incredibile la mente schizofrenica del tifoso medio).
Per questo motivo non dovremmo esultare? Certo che no, io ho esultato alla grande la serata di domenica.
Però stiamo sempre attenti alla iconografia: nei dettagli sta la nostra appropriazione e immedesimazione di un modello di comportamento. Cerchiamo sempre di capire cosa ci dicono le immagini prima di condividerle.