Nella fiera di Milano si sono presentati, come ogni anno, le più importanti gallerie di arte contemporanea e le più promettenti gallerie emergenti, tutte agguerrite per una tre giorni di vendita diretta al pubblico, talk, incontri e vecchie conoscenze.
I colori tornano a farla da padrone e gli oggetti che si vendono, perlopiù quadri e sculture, tornano ad essere mostrabili anche in case che non siano state progettate per esporre il contemporaneo.
Questo, naturalmente, non segna una superiorità dell’oggetto che il pubblico apprezza come ‘bello’ su oggetti più difficili da gustare. Segna, semplicemente, una cosa che doveva prima o poi succedere: l’arte più prettamente concettuale e fondata nella ricerca intellettuale non può legarsi per troppo tempo al mercato senza prostituire se stessa. Anche se per molto anni lo si è creduto, una fiera d’arte non è il posto per tutti i generi di arte.
Ebbene, la maggiore presenza di arte più accessibile a tutti porta a due conseguenze: la prima è che la fiera si percorre con più piacere, i colpi d’occhio sono ben organizzati e inaspettati; la seconda, più importante per noi, è che nel venire meno dell’arte più criptica viene meno anche la necessità di una conoscenza della storia dell’artista. Si intuisce che l’oggetto d’arte può essere guardato in sé e per sé e gustato, anche a prescindere dalla conoscenza della vita o della ricerca di chi l’ha creato.
Convinti che questo, in ultima analisi, faccia bene all’arte (anche all’arte più concettuale, che in tal modo si libera di percorsi che non le erano propri), vi offriamo una galleria di immagini senza alcuna indicazione: giusto perché, se anche voi l’anno prossimo vorrete tornare a Miart, sappiate che si può anche passeggiare tranquillamente e gustare dell’arte senza sentirsi obbligati a conoscerne l’autore o le spiegazioni.