Louis Barthélemy esplora la mistica del wrestling senegalese negli arazzi. Dopo essere stato designer per marchi come Gucci, Dior e Salvatore Ferragamo, lo stilista e artista francese Louis Barthélemy si è trasferito nel 2021 da Parigi a Marrakech fino al Cairo per riscoprire e proporre l’arte della “khayamiya”. Al Théodore Monod Museum of African Art, a Dakar in Senegal, si è tenuta un’esposizione profonda e significativa. I lavori proposti si basano sull’esplorazione della società come contenitrice di simboli contemporanei rivisitati con tecniche artigianali secolari.
L’inizio: il viaggio in Africa
La mostra ha avuto come titolo MBËR YI / LES LUTTEURS (I lottatori). A febbraio 2021 Barthélemy è sbarcato a Dakar inseguendo il sogno dell’artigianato africano. Connettersi con una sapienza antica per ripensare il contemporaneo. Ceramiche smaltate al sale, sculture in pietra calcarea, calzature, il tutto sperimentato con artigiani locali a Siwa, nel Sahara occidentale egiziano, e a Beirut collaborando con un collettivo femminile dalla Siria, Palestina, Iraq e Libano. Una ricerca che ha puntato fin da subito a ridare dignità a ogni materiale usato.
Khayamiya
Infine l’arrivo al Cairo e la riscoperta dell’arte della “khayamiya”. La khayamiya è una tecnica decorativa che il Medio Oriente ha tramandato per la decorazione delle tende. Oggi è utilizzata solo da pochissimi artigiani egiziani presenti al Souk El-Khaymiya o “Via dei fabbricanti di tende”, un piccolo vicolo nel mezzo di un mercato del 17° secolo nella capitale egiziana.
Con questa tecnica crea la serie di arazzi “The Wrestlers”.
La serie “The Wrestlers”
I lavori in arazzo raffigurano lottatori senegalesi che Barthélemy ha osservato e conosciuto a Dakar. Tutte le opere sono realizzate a mano in collaborazione con gli artigiani tradizionali di khayamiya, utilizzando il “bazin”, un tipo di broccato di cotone tradizionale e molto usato nell’Africa occidentale. I colori sono vivaci, scelti anche in continuità con la tradizione cromatica del regno di Danhomè, un regno precoloniale dell’Africa occidentale situato nell’attuale Benin.
I lottatori che hanno fatto da modelli, così ci dice Barthélemy, provenivano da diversi stati africani, volendo così ritornare su uno dei temi più importanti per l’artista: la creazione di opere che attraversino i confini geografici e li facciano dialogare.
La lotta come incontro rituale
Certo di dialogo, in questo caso, non si potrebbe parlare a prima vista. Eppure nell’Africa esplorata dall’artista francese la lotta mantiene forti connotati simbolici e rituali. In molte interviste l’autore parla di un vero “universo mistico del wrestling” come parte integrante della cultura senegalese, con combattimenti che durano ore accompagnati da cori femminili e percussionisti.
“L’onnipresente dualità tra luce e oscurità, vita e morte, maestria e abbandono (…) Il crepacuore dei vinti, la gloria dei vincitori eretti come dèi sulla Terra e acclamati da un pubblico stregato mi fanno meravigliare dell’eco che questa performance provoca in noi”.
L’esposizione al Museo di Arte Africana
Il luogo di esposizione è tutt’altro che casuale: al Théodore Monod Museum of African Art i suoi lavori sono stati affiancati alla collezione permanente di arazzi applicati del 18° e 19° secolo del regno di Danhomè, raffiguranti figure umane impegnate in feroci duelli con animali fantastici.
L’importanza di questa serie come ‘momento’
L’arte tessile ha sempre a che vedere con la copertura di un corpo. Che tale corpo sia privato o sociale diventa meno importante proprio per il dialogo che società e individuo intessono attraverso le vesti. Scegliere azioni rituali per essere rappresentate su arazzi vuole dire costruire una veste alla società che si sta osservando. Quando poi vi è anche la riscoperta e l’utilizzo di tecniche tradizionali, sono le stesse mani della società a crearsi come corpo da coprire.
L’azione artistica di Louis Barthélemy mi ha molto convinto per la sua coerenza in materiali, tecniche e messaggio. Mi convince ancora di più se penso che ridà dignità al ‘momento’ come accumulo della storia. La lezione per il mondo occidentale (del quale, sia detto, Barthélemy è pienamente partecipe e, anzi, quasi fautore in molti casi) sta nella riscoperta dell’atto artistico come momento all’interno della storia. Questo ultimo aspetto, noi civilizzati occidentali che alzeremmo il sopracciglio davanti a una lotta rituale, stiamo dimenticando cosa significhi in favore di frivoli e ridenti coup de théâtre.
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