Enrico Iacometti: l’inizio spericolato di Armando Editore

Enrico Iacometti: l'inizio spericolato di Armando Editore

Enrico Iacometti: l’inizio spericolato di Armando Editore. Parliamo oggi con il Enrico Iacometti, alla guida della Armando Editore, e dello ‘spericolato’ inizio che mantenne in vita la casa editrice e la vide passare nel 1985 proprio nelle sue mani.

Come hai cominciato la tua carriera?

In verità ho cominciato come Ufficiale di Marina, marina mercantile. Avevo un po’ sepolto la passione per i libri ma collaboravo comunque con il giornale ‘Il Telegrafo’ di Viareggio e mi occupavo della cronaca bianca, pittura e musica eccetera. Poi a 24 anni mi sono sposato con mia moglie, che era Milanese. Quindi per vivere insieme era difficile continuare a fare l’ufficiale di marina in quel di Milano e, allora, ho cercato un’occupazione per vivere “a terra”. 

Avresti continuato per mare se non avessi conosciuto tua moglie?

Senza di lei probabilmente avrei continuato sul mare. Sono un tipo irrequieto, guardo sempre oltre. Quindi il fatto di essere in Africa e di pensare di essere tra poco in Sud America, poi in Europa e in Asia, era molto affine al mio carattere. E questa è stata in fondo anche la mia vera vena editoriale perché, nel tempo, ho prodotto per prima cosa libri e romanzi sui viaggi, più che saggistica.

Quindi la tua carriera da editore è iniziata…

…quando ho cercato posto a terra ho risposto a un’inserzione della Zanichelli di Bologna per propagandisti della scuola. Sono stati selezionati 12 giovani poi mandati a Milano. Così ho cominciato con l’editoria. Questo inizio è stato anche importante perché mi ha fatto conoscere l’editoria scolastica nella quale l’importanza del rapporto umano, dell’empatia, è fondamentale. Il nostro compito era quello di convincere i i professori della bontà dei nostri testi e per fare questo bisognava cercare un breve rapporto di qualche minuto e capire l’insegnante, la sua chiave di riflessione. Ho fatto un po’ di carriera e sono passato alla Garzanti, sempre di Milano, che, all’epoca, iniziava proprio un catalogo scolastico. Sono stato affidato alla filiale di Torino.

Enrico Iacometti: l'inizio spericolato di Armando Editore

Come ti sei trovato in Garzanti?

E’ stato un periodo fortunato, ricco di successi. Io ho aiutato a far affermare la Garzanti nel mondo della scuola diventando dirigente ancora molto giovane. A tutt’oggi reputo Garzanti il più grande editore che abbiamo avuto. Anche quando prendeva decisioni contro tutto, contro le opinioni degli altri, anche contro le indagini, alla fine aveva sempre ragione. Il più bel complimento che mi fece è che io ero “capace di realizzare i suoi sogni”.

Poi inizia da lontano un’avventura non attesa.

Al tempo mi avevano trasferito poi a Roma dove sono restato molti anni e, improvvisamente, un mio amico di Milano, che aveva negli anni costruito un impero della cosmetica, voleva tornare al suo primo amore: l’editoria. Decise di comprare l’Armando editore e mi convinse a lasciare Garzanti. Mi ricordo quando andai a dare le mie dimissioni e Garzanti mi disse “Ma lei sa che qui è la seconda carica della casa editrice? Perché vuole lasciarci?”. Io gli risposi che per una volta volevo andare a fare il numero uno e Armando era già una casa importante, “la casa di Popper” come lui mi rispose. Due anni dopo il mio amico titolare mi chiamò d’estate e mi disse che gli era stato diagnosticato un cancro e avrebbe dovuto vendere. Allora io inizio a creare rapporti con Rizzoli che era molto interessata e che aveva già comprato altri editori Fiorentini importanti. Però nelle stesse settimane molti giornali si scatenarono contro Rizzoli che stava “uccidendo la cultura piccola e autonoma” e, dopo due mesi di trattative, per questo motivo rinunciò a comprare altre case italiane. Alla fine arrivai alla conclusione di firmare il contratto con un gruppo che comprendeva due importanti editori e l’editore di una rivista nazionale. Avevamo già stabilito il prezzo e la mia buonuscita dopo 6 mesi di avviamento.

E poi successe l’evento che ti cambia la vita..

Dopo aver messo la firma al contratto arrivò un rappresentante di questo gruppo acquirente e disse che ci avevano ripensato e volevano uno sconto di un miliardo di lire. Il che offese molto il mio amico che, pur essendo ricco, odiava questi comportamenti e alzatosi dal tavolo delle trattative sentenziò che non avrebbe più venduto. Decise di andare a Roma e mettere in liquidazione l’azienda ma prima di farlo mi propose di comprarla. Io non avevo soldi e in pochi mesi trovai i 6 soci necessari a comporre un capitale sufficiente. Il catalogo era importante e ne valeva la pena. Nel giro di un anno e mezzo ho man mano restituito le quote agli altri soci aumentando la mia. Questo è l’inizio.

Enrico Iacometti: l'inizio spericolato di Armando Editore

I suoi figli invece? Continueranno questa storia nell’editoria?

I miei figli: spero che anche per loro sia una scelta dettata dalla passione. Perché l’editoria in fondo è invenzione, fantasia, intuizione e rapporti personali, e non tutti sono portati. Mi auguro comunque che proseguano l’impresa perché mi piacerebbe… io in fondo la dirigo fin dal 1985.

L’editoria è un percorso difficile? C’è differenza nei generi che si pubblicano?

Quando mi chiamano a parlare dell’editoria nelle università ai giovani io dico sempre che l’editoria è pericolosa. Il fatto è che uno può diventare editore facilmente, con quattro soldi va dal tipografo e ci mette il suo nome. Il difficile comincia dopo, perché la cosa più difficile non è fare i libri ma venderli. Quindi io mi rendo conto che le aspettative di un autore sono sempre tante perché per scrivere un libro ci vuole tempo, testa, impegno, ma venderlo è un’altra cosa. Ci vuole per prima cosa una buona rete commerciale, poi ci sono addirittura generi che non sono vendibili, come la poesia contemporanea che, anche con grandissimi nomi e durante il mio periodo alla Garzantia, magari riuscivamo a vendere giusto 500 copie. Naturalmente sono ben altre le aspettative. La poesia insomma non è vendibile, la narrativa invece è in teoria più vendibile però ha una vita breve perché, a meno che non diventi un classico o si scriva un capolavoro, dura massimo un anno poi scompare letteralmente. La saggistica infine ha tirature più basse però è composta quasi sempre da Long Sellers, e cioè libri che si vendono per molti anni.

Per concludere, c’è qualche aneddoto che avrebbe voglia di raccontarci?

Ancora una volta una cosa che mi disse Garzanti che, all’epoca, era la seconda casa editrice italiana con 1200 dipendenti: “la Garzanti fa il fatturato di un medio produttore del tondino di Brescia, a lui non lo conosce nessuno a me mi conoscono tutti”.

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