Incomincia un percorso di ARTE COME MOTIVAZIONE: esplorando emozioni, un ciclo scritto da due autori molto giovani Filippo e Riccardo, che ci porteranno con profondità e in modo a volte autobiografico in questo excursus fra emozioni ed arte.
PREMESSA
Algoritmi, statistiche, leggi e previsioni. La razionalità prova ad anticipare e spiegare ogni aspetto della nostra vita, dalla società all’esistenza stessa.
Tuttavia, quando lavora con l’uomo, non ci riesce; non ci riuscirà mai perché la maggior parte di ciò che ci riguarda non segue un percorso logico, prevedibile. In questo viaggio attraverso le emozioni la razionalità non ha posto, e viene sostituita dall’impulso, dal caos, dalla più che mai travolgente interiorità.
Leggete queste righe senza cercare di trovarci un senso compiuto,
in quanto non sono state concepite per averlo. Lasciatevi piuttosto trasportare da un mare di puro sentimento, fino ad arrivare a scoprire come l’arte, con i suoi inspiegabili
giochi di colori e di significati, può aiutarci a comprendere ciò che nessuna legge o studio potrà mai spiegare.
LA VERGOGNA
Sudorazione, battito accelerato, rossore… Il nostro corpo lancia una serie di segnali ben precisi quando proviamo vergogna. Come un brivido che si impossessa della nostra mente, facendoci venire voglia di scomparire.
Se proviamo vergogna è perché non possiamo farne a meno, perché è come se qualcosa si impossessasse del nostro corpo continuando a giudicarci, a ripeterci che siamo sbagliati, che nessuno ci terrà e verremo abbandonati dal mondo che ci circonda. Il mondo che ci circonda non ci vuole far sparire da solo, ma diventiamo noi stessi a voler sparire per accontentare quel desiderio altrui.
Ci hanno giudicato, etichettato e disprezzato, e adesso, ogni volta che qualcuno ci giudica ancora, quella stessa sensazione torna più forte di prima.
Scrivendo queste parole la mia testa si riempie di rabbia, quanto avrei voluto reagire quando ero troppo piccolo e insignificante per farlo. Ciò che tu giudichi sbagliato è frutto del tuo giudizio alterato, eppure non hai fatto altro che imprimere questo giudizio sulla mia pelle, marchiata a fuoco come una bestia.
Adesso la bestia è scappata dal recinto, ogni tanto si ferma a guardare quel marchio invisibile e spera che si possa cancellare, vorrebbe strapparsi la pelle, accetterebbe il dolore per guadagnare la libertà dal giudizio che cerca, ma sa che il marchio è ormai sceso così in profondità che per strapparlo via dovrebbe rinunciare alla sua vita. Prima o poi imparerà a lasciar andare quel segno che in verità continua a vivere solo nella sua mente.
Scrivo e mi accorgo della confusione con cui le parole esprimono un mio sentimento, forse non sono lo strumento migliore per trasmettere qualcosa di così irrazionale, i colori possono essere più indicati.
L’arte ha raccontato quest’emozione nei modi più disparati, uno dei miei preferiti è la serie di quadri “Shame” di Penny Siopis:
L’esplorazione di una serie di sfumature del colore rosso, il dolore e il malessere che ne traspaiono, le figure non sono umane ma mi ricordano fortemente le immagini che avevo in testa da piccolo, come se l’opera mi riportasse agli anni nei quali la vergogna ha origine.
Anche la serie “Mare Nostrum” di Miriam Cahn contiene alcune opere che esprimono molto bene quest’emozione.
Il rossore che sconfina i limiti della pelle sulla faccia penetrando anche la mano che tenta invano di nascondere un malessere interiore tanto potente quanto incontenibile.
Infine, voglio condividere una visualizzazione di ciò che sento quando la vergogna mi invade, l’immagine di queste parole istintive:
Un brivido mi parte dalla punta delle dita e arriva con forza dirompente fino al cuore e alla testa, incontenibile, è impossibile non mostrarlo. Il rosso di cui si colora la pelle è solo ciò che riesce ad affiorare in superficie, l’abisso infuocato che nasconde arriva nella profondità della mia pancia.
A volte mi chiedo perché mi vergogno ancora, ora che nessuno mi giudica, e perché continuo a darmi gli stessi giudizi dei miei aggressori. Provo a fermarli con la mano, ma sono fluidi, e scivolano attraverso le mie dita arrivando al loro obbiettivo. Se mi vedessi da fuori mentre cerco di difendermi sarei troppo comico, come un bambino che si difende da una secchiata d’acqua lanciata dagli amici. Chi se ne frega se mi bagno, tanto c’è il sole e ci si asciuga in fretta, e poi dopo questa avrò diritto a una vendetta esilarante.
Forse un giorno riuscirò a riderci su, del resto è tutto un gioco. Quante storie divertenti potrò raccontare quel giorno.