Di bullismo si sente parlare ormai troppo spesso. E’ un fenomeno in crescita, in evoluzione, intriso di una cattiveria che miete vittime tra giovani e giovanissimi. Un fenomeno che si sta diffondendo anche con l’uso di Internet e dei social network.
Conosciamo le vittime, ne leggiamo le loro storie, ma chi c’è invece dall’altra parte, chi è il “bullo”?
La Dott.ssa Elisa Marcheselli ci aiuta a comprenderlo meglio rispondendo alle nostre domande, spiegandoci quali situazioni possono esserci dietro a simili comportamenti e quali soluzioni adottare per affrontare questo problema.
Che cosa è il bullismo?
Per bullismo si intendono tutte quelle azioni di sistematica prevaricazione e sopruso messe in atto da parte di un bambino/adolescente, definito “bullo” (o da parte di un gruppo), nei confronti di un altro bambino/adolescente percepito come più debole, la vittima.
Secondo le definizioni date dagli studiosi del fenomeno, si parla di azioni di bullismo quando un soggetto viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto deliberatamente da uno o più compagni.
È importante sottolineare che si fa riferimento non ad un singolo atto, ma a una serie di comportamenti ripetuti nel tempo, all’interno di un gruppo, da parte di qualcuno che fa o dice cose per avere potere su un’altra persona.
E’ un fenomeno crescente, perché?
È un fenomeno in crescita, ma mi sento di dire che il bullismo che sta prendendo maggiormente campo è quello fatto di azioni che si verificano attraverso Internet (posta elettronica, social network, chat, blog, forum), o attraverso il telefono cellulare ovvero il cyberbullismo. Dal settembre 2015 al giugno 2016 Telefono Azzurro ha gestito circa 1 caso al giorno di bullismo e cyberbullismo, un dato preoccupante che rappresenta solo la punta dell’iceberg rispetto alla vastità del fenomeno. In totale i casi gestiti sono stati 270, che hanno richiesto un totale di 619 consulenze.
Il perché questo fenomeno sia in crescita a mio avviso va rintracciato nei sistemi educativi familiari e nelle modalità di trasmissione valoriale intergenerazionale. La famiglia e le istituzioni educative hanno un ruolo fondamentale nella crescita dei giovani. Ma in primis le famiglie, e quindi i genitori, devono riflettere sulle proprie competenze genitoriali essendo loro i fruitori dei futuri comportamenti dei propri figli.
Ma cosa porta un adolescente a fare del bullismo?
Gli studi dimostrano che il bullo è un soggetto che ha un livello di sensibilità diverso dagli altri, ovvero ha una minor capacità di mettersi in empatia con gli altri, quindi di sintonizzarsi con il dolore altrui e questo faciliterebbe la presa di posizioni aggressive. Inoltre avrebbe una scarsa capacità di riflettere sulle conseguenze dei comportamenti agiti. Quindi un bullo è un ragazzino che vive in un sistema familiare dove certi comportamenti sbagliati non vengono efficacemente corretti e li protrae fino ad esternarli in maniera naturale.
Qual è l’età media dei ragazzi che fanno bullismo?
Anche l’età si è abbassata notevolmente ma soprattutto quella delle vittime: un trend in crescita è quello che vede come vittime bambini sempre più piccoli, anche di 5 anni (22% dei casi). Le richieste di aiuto per episodi di cyberbullismo hanno inizio durante le scuole secondarie di primo grado e proseguono in adolescenza (1 richiesta su 2 coinvolge preadolescenti).
Come sono le loro famiglie?
Ricordiamoci che esistono delle problematiche associate al bullismo o cyberbullismo come: problemi scolastici, difficoltà relazionali e problematiche legate all’area della salute mentale (bassa autostima, ansia diffusa, paura o fobie, gli atti autolesivi, le ideazioni suicidarie e i tentativi di suicidio) le principali. Quindi le famiglie sono famiglie con alti fattori di rischio per lo sviluppo del figlio, e con difficoltà ad attuare il proprio ruolo genitoriale e far rispettare l’autorità genitoriale.
Cosa vogliono dimostrare alla società ?
Più che dimostrare qualcosa, ci troviamo di fronte a dei segnali di disagio e di problemi irrisolti che portano a circoli viziosi e all’instaurarsi di dinamiche patologiche anche per il futuro, se non si interviene nei tempi giusti.
Che cosa si sta facendo, secondo te, per questo problema? Si sta facendo abbastanza?
C’è molta informazione su questo fenomeno e tanta pubblicità dei fatti di cronaca. Ma secondo me l’informazione, senza essere accompagnata da un supporto tecnico educativo, ha poco senso. Nel mio piccolo sono impegnata a fare formazione nelle scuole ai ragazzi, ai genitori e agli insegnanti.
Non ci limitiamo a parlare solo del problema ma studiamo insieme delle piccole e semplici strategie da attuare per eliminare certi comportamenti negativi e promuoverne altri più funzionali. La partecipazione attiva dei ragazzi è sorprendente e sono loro i maggiori promotori di regole sane da proporre ai propri genitori per migliorarsi.
Qual è il tuo impegno su questo argomento?
Sono impegnata in progetti di sensibilizzazione al problema e di sostegno a questi casi sia dal lato del bullo sia dal lato della vittima in ambito clinico con sedute di psicoterapia rivolte all’intero sistema familiare e non solo al bambino che manifesta il problema. In ambito educativo insieme alla Dottoressa Simona Petrozzi siamo attive su progetti di formazione in ambito scolastico, dove affrontiamo le difficoltà comportamentali ed emotive derivanti da questi fenomeni. Inoltre con la società Siro consulting di Simona Petrozzi esperta di web reputation, trattiamo il problema in un’ottica di sensibilizzazione per quanto riguardano gli aspetti che possono incidere nello sviluppo della propria identità on line ed off line.
Il mio messaggio è di dare maggior sostegno e supporto soprattutto alle famiglie per prevenire la nascita di comportamenti di rischio per i giovani che rappresentano la nuova società.
Se vuoi essere messo in contatto con la Dott.ssa Marcheselli, la redazione è a disposizione.