Che differenza c’è tra “Manga” e “fumetto”? Sentiamo spesso il termine “manga”, soprattutto dalle generazioni che hanno avuto libero accesso a internet fin da piccole. A queste ultime non va spiegata la differenza tra Occidente e Giappone in quanto a creazione di fumetti, ma è bene fare una piccolissima introduzione.
Il termine ‘Manga’ e i falsi miti
Manga, che nel significato originario vuole dire “immagine caricaturale”, indica tutti i fumetti. Se un giapponese parlasse in Giappone di Lupo Alberto è probabile che lo chiamerebbe “manga” e, come molti della vecchia generazione ancora credono, per essere tale non ha affatto bisogno di contenuti sessualizzati, perché in tal caso diventa “Hentai“, genere a sé stante.
Spesso poi esce la quotidiana banalità: “in Giappone il fumetto è per gli adulti, ecco la differenza del manga”. Anche questo è un bel mito da sfatare: prima di tutto perché, se si avesse curiosità, si troverebbero decine di autori italiani di fumetti consigliatissimi a un pubblico adulto e che a quest’ultimo guardano. Secondariamente, anche il manga ha e ha avuto i suoi autori per bambini: un loro capostipite simbolico è Osamu Tezuka, dal quale la Disney ammetterà di aver copiato Il Re Leone.
Però questa differenza, molto sentita da chi non se ne intende, ci può portare a scoprire, in effetti, quello che inizialmente ha allontanato ‘Manga’ e ‘fumetto’.
La differenza in origine. Il fumetto statunitense
Una delle vere differenze che, a parere di chi scrive, detta effettivamente uno stacco tra fumetto occidentale e giapponese è la confluenza degli autori.
Partiamo da capo.
Il concetto infantile che abbiamo tutt’oggi del fumetto deriva dagli Stati Uniti. A fine ‘800 Joseph Pulitzer è il proprietario del quotidiano New York World. Decide di aggiungere come supplemento al giornale delle illustrazioni. Prova inizialmente con disegni che riprendono i capolavori della storia dell’arte. Non funziona, non piacciono. Allora li sostituisce con tavole botaniche, bellissime e particolareggiate riproduzioni di fiori. Nessuno le nota. Il terzo tentativo è quello vincente: mette delle scenette satiriche, Hogan’s Alley. Tra i personaggi che spiccano c’è Yellow Kid, che diventerà famosissimo tra i bambini. Tutti gli altri periodici seguono a ruota e l’illustrazione quotidiana diventa semplice e legata a un mondo di immedesimazione infantile.
Originariamente, quindi, non c’è un vero progetto che lega il fumetto al bambino, ma questo incastro vende bene e nessuno smette di farlo.
Gli inizi in Italia
In Italia nel 1908 per la prima volta esce Il Corriere dei Piccoli. E’ ideato dalla giornalista Paola Lombroso Carrara. Il suo intento è pedagogico: la pubblicazione è ricca di articoli di divulgazione e narrativa di buona qualità, spesso ripresa da testate europee. Le illustrazioni, però, vengono semplicemente tradotte dal materiale statunitense, cancellando e riscrivendone i balloon.
Entra così nella comune visione italiana il concetto di fumetto come frivolo e rivolto ai soli bambini. Il Corriere dei Piccoli, infatti, si impone come lettura rivolta all’infanzia e in seguito, tra L’Avventuroso durante il fascismo e Topolino che investe la cultura negli anni ’50, per un bel po’ nessuno riuscirà a mettere in discussione il legame fumetto/infanzia.
La differenza giapponese
In Giappone invece il fumetto rappresenta una continuazione dell’arte classica. Questo è tanto vero che ogni esperto di manga ritrova stilemi e precursori in ogni parte della cultura visiva giapponese e gli inizi non possono che rimanere dibattuti.
Quello che sappiamo è che “manga” viene gà usato alla fine del XVIII secolo come termine che indica pubblicazioni di illustrazioni, per esempio come Shiji no yukikai di Santō Kyōden, o Manga hyakujo di Aikawa Minwa. In Hokusai poi moltissimi studiosi vedono il vero artista pilastro iniziale della cultura manga.
Che differenza c’è tra “Manga” e “fumetto”?
Per concludere, nell’illustrazione giapponese sono confluiti artisti che tali erano reputati dalla società e, come fanno gli artisti, riprendevano temi e modi della storia dell’arte per parlare a tutti. In Occidente il facile guadagno fece diventare per quasi un secolo intero gli illustratori intrattenitori dei figli di chi leggeva i giornali.
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