Premessa
Nella rubrica le Storie Intrecciate, vi sono interviste che non possono essere spezzate, a volte sono più lunghe di altre. Se leggere è la vostra passione, se siete curiosi e affascinati dalle storie degli altri, in questa intervista potete cogliere molti spunti, non è solo una storia di vita di un uomo che si intreccia con altri, non è solo la storia della creazione di un’azienda, è altro.
Raccontarsi in Storie Intrecciate: Alessandro Rinaldi
L’incontro con Alessandro Rinaldi è stato vibrante, un balletto di arancioni e viola, un’ode alla connessione e condivisione. Il dialogo è stato ricco e profondo, Alessandro con tutto il suo team abbracciano qualcosa di grande: creano progetti per espandere la consapevolezza nella comunità. Essi puntano a creare qualcosa che, in tutte le sue forme, porta il messaggio del collettivo, un’esperienza che collega il visibile e l’invisibile.
Incomincio a raccontarvi meglio riportarvi un po’ della sua storia
Il mio percorso comincia con l’antropologia del teatro – spiega Alessandro – avevo una passione bruciante per i codici linguistici, le dinamiche culturali e per come il teatro viene utilizzato in chiave rituale. Mi ha sempre affascinato lo sviluppo del Sé e come questo possa emergere come un processo, rivelando quell’unico insieme di valori, talenti e potenzialità che ciascuno di noi possiede, un po’ come ascoltare la voce del nostro dáimōn.*
La mia carriera accademica e professionale è stata plasmata dalla mia ammirazione per il teatro di Peter Brook, in particolar modo dal suo lavoro sperimentale che unisce i codici linguistici interculturali presenti nel Mahābhārata, un’opera affascinante e profonda. Questa esperienza ha forgiato la mia identità a livello personale, sociale e professionale.
Nel corso delle mie ricerche, ho scoperto una Fondazione negli Stati Uniti dedita agli studi indologici e ho deciso di trasferirmi là per scrivere la mia tesi. Durante il mio soggiorno, ho avuto la possibilità di immergermi nel mondo del counseling e dello sviluppo personale. Dopo aver frequentato un corso di counseling rogersiano, ho cominciato a lavorare in questo ambito.
Ho sempre avuto un’attrazione per lo sviluppo del Sé e la sua manifestazione, cosa che mi ha portato a esplorare l’approccio centrato sulla persona di Carl Rogers. Ho scoperto che Rogers ha dedicato gli ultimi anni della sua carriera a difficili, facilitando gruppi di incontro in luoghi segnati dal conflitto. Questo ha arricchito la mia comprensione del suo lavoro e ha ispirato il mio metodo attuale. Durante il mio viaggio, ho anche avuto l’opportunità di incontrare altre figure di spicco della psicologia umanistica transpersonale, come Arnold Mindell e Ken Wilber.
Il rientro in Italia
Una volta tornato in Italia, ho avuto l’opportunità di incontrare un caro amico, Paolo Callegari, uno psichiatra che ha collaborato con Franco Basaglia nell’ambito della psichiatria antistituzionale. Abbiamo riconosciuto molte affinità tra i nostri interessi e visioni. Paolo continua a collaborare con noi ancora oggi, e la nostra amicizia dura ormai da più di vent’anni, risalendo al 1997, quando è stata fondata DOF, la società di ricerca, formazione e consulenza.
DOF, oltre a essere un centro di ricerca e consulenza, si è evoluto nel corso degli anni anche come agenzia di produzione per il collettivo artistico Dalla Maschera al Volto.
Parliamo un po’ di DOF
Dal 1997, il mio lavoro si è trasformato in un processo di ricerca che mescola formazione, consulenza e progetti su misura, calandoli in diversi ambiti legati alla persona e alle dinamiche di gruppo. Siamo specializzati nell’offrire percorsi che lavorano sulla dimensione valoriale, spesso utilizzando il concetto di patto comportamentale.
Collaboriamo con diverse aziende, comprese grandi multinazionali e pubblica amministrazione. Per lungo tempo abbiamo lavorato in particolare con il Ministero della Funzione Pubblica. In passato, abbiamo gestito anche una scuola di counseling, che oggi è diventata una scuola di formazione per facilitatori e facilitatrici. Offriamo formazione anche a singoli individui. Pertanto, ci concentriamo su un approccio trasversale che si adatta a diverse esigenze e contesti.
All’interno di DOF, avete diversi progetti, tra cui il Teatro d’Impresa. Si tratta di un approccio che combina elementi teatrali e di performance con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo organizzativo e la formazione all’interno delle aziende, me ne puoi parlare in modo approfondito?
Il nostro metodo si chiama Critical Performance ed è strettamente legato al fatto che il teatro è sempre stato uno specchio della comunità. Se pensiamo all’esperienza del teatro greco, del teatro elisabettiano o della commedia dell’arte, vediamo che il teatro si pone come uno specchio in cui la comunità si riconosce e si comprende meglio. Guardarsi nello specchio del teatro diventa un modo per trascendere le dinamiche bloccanti e promuovere l’evoluzione dei processi.
Per noi, usare il Teatro d’Impresa e, in particolare, il nostro metodo di Critical Performance, significa entrare in una comunità e utilizzare il teatro come potente linguaggio di facilitazione. Attraverso l’interpretazione teatrale dei copioni quotidiani delle persone e delle organizzazioni, cerchiamo di identificare eventi critici, blocchi e problematiche profonde che possono essere risolte. In questo senso, il teatro diventa un’esperienza catartica e liberatoria, perché permette di osservare la realtà da una prospettiva più ampia, fornendo allo stesso tempo l’energia per apportare cambiamenti condivisi.
Crediamo fortemente nel potere politico del teatro e lo utilizziamo ampiamente con diverse organizzazioni, comunità e contesti in cui è presente una tensione al cambiamento. Il teatro di Peter Brook, che è molto connesso all’esplorazione del sé e alla trascendenza, così come il dialogo immaginale dei personaggi tipico della Gestalt, sono per noi dei riferimenti importanti. Grazie alla nostra formazione teatrale e sperimentale, abbiamo sintetizzato diversi modelli per creare un approccio unico.
In passato, abbiamo gestito un Festival di Teatro d’Impresa a Venezia, presso il Teatro Fondamenta Nuove e a Mestre, al Toniolo, coinvolgendo aziende e organizzazioni provenienti da tutta Italia per mettere in scena la loro realtà e confrontarsi reciprocamente. Questa dimensione del mettere in scena ciò che accade nel qui e ora e di fornire un luogo di confronto per le organizzazioni, è estremamente potente.
Un altro lavoro significativo nel nostro percorso è il progetto “THE VILLAGE”. Questo progetto è nato all’interno del contesto dei Circoli di ascolto organizzativo, realizzato in collaborazione con il Ministero della Funzione Pubblica coinvolgendo numerose organizzazioni in tutta Italia. La sfida che ci è stata lanciata dal Ministero è stata quella di lavorare sul tema dei talenti delle persone in modo non convenzionale, e abbiamo utilizzato le immagini in modo creativo e innovativo per affrontare questa sfida.
Il Progetto The Village
Il nostro metodo, si concentra su un approccio più profondo ed emotivo, andando oltre il semplice ragionamento cognitivo e razionale riguardo ai talenti presenti in ciascuno di noi all’interno delle organizzazioni. Mentre molte aziende si concentrano principalmente su approcci ingegneristici basati sulle competenze, noi abbiamo intrapreso un percorso diverso. Abbiamo sviluppato uno studio antropologico in cui abbiamo identificato 15 figure archetipiche che rappresentano personaggi presenti nella comunità di villaggio tradizionale. Questi archetipi sono stati reinterpretati in modo originale per creare i nostri 15 archetipi, rappresentando così la nostra lettura dei processi archetipici delle comunità.
Grazie alla nostra esperienza pluriennale in sperimentazione e ricerca, abbiamo osservato che queste forze archetipiche, indipendentemente dal contesto culturale (orientale o occidentale) e storico (antico o contemporaneo), esistono come entità che rappresentano figure quali lo sciamano, il custode del fuoco, il mercante esploratore, l’agricoltore, il fabbro e molte altre.
Nel nostro lavoro con gli archetipi di The Village, lavoriamo con quattro carte: le due carte emerse rappresentano i talenti e le forze che stanno già agendo nel mondo; la carta inferiore, ispirata al modello junghiano, rappresenta una forza che è appena al di sotto della soglia di consapevolezza ma che sta spingendo per manifestarsi; e infine, la carta dell’avversario rappresenta una forza archetipica che può apparire come un ostacolo o una sfida, ma che in realtà merita di essere indagata e dialogata, poiché potrebbe rappresentare un’ombra o qualcosa che non è ancora stato integrato nell’individuo.
Attraverso The Village, forniamo una rappresentazione delle caratteristiche archetipiche che permettono alle persone di esplorare le diverse sfaccettature di sé. Ciò che emerge è una lettura degli archetipi che consente un’ulteriore comprensione di sé stessi e delle proprie dinamiche interiori.
The Village viene utilizzato in diversi contesti, anche in forma didattica, e nel progetto artistico Dalla Maschera al Volto, come una performance di comunità.
Abbiamo recentemente realizzato una potente performance a Pesaro, che ha inaugurato il progetto di Pesaro Capitale della Cultura 2024. In uno spazio suggestivo, un cantiere navale che ospita anche eventi, abbiamo portato The Village in una combinazione di teatro, musica dal vivo e performance interattiva con il pubblico. Questo ci ha permesso di avviare un brainstorming visionario coinvolgendo importanti figure legate a Pesaro Capitale della Cultura 2024, e insieme abbiamo iniziato a progettare installazioni di idee chiamate “Visibilia” per l’evento.
Questo collegamento tra la società DOF, che si occupa di ricerca, consulenza, formazione e coaching, e l’approccio creativo di The Village dimostra come abbiamo integrato l’aspetto artistico nella nostra attività. Onoriamo l’11º anniversario di questo progetto con un tour teatrale realizzato dal collettivo Dalla Maschera al Volto.
Dalla Maschera al Volto
“Dalla Maschera al Volto” prende il nome da un vecchio libro, scritto assieme a Nicola Gaiarin. Avremmo potuto continuare a scrivere testi più orientati al business e al settore corporate, dato che ne abbiamo scritti molti nel corso degli anni. Tuttavia, in quel momento, decisi di scrivere un testo che mescolasse racconti, memorie e riflessioni, con un’impronta antropologica, filosofica e autobiografica.
“Dalla Maschera al Volto” parla del percorso che ognuno di noi compie verso l’autenticità, non tanto per abbandonare le maschere – perché nella vita tutti le utilizziamo, consapevolmente o meno – ma per comprendere il proprio equilibrio tra maschera e volto. Questo è il grande tema che ci anima.
Ci dedichiamo al risveglio delle risorse e della materia invisibile all’interno delle comunità. Lavoriamo spesso con il concetto di arte pubblica, creando progetti che hanno un impatto sulle comunità che incontriamo. Questo impatto può portare a far riemergere sogni, visioni, leggende, paure e fantasmi, stimolando la creatività della comunità stessa. I nostri progetti creano un intreccio tra passato, presente e futuro, permettendo alla comunità di ritrovare una sua energia progettuale.
La nostra visione si collega al concetto di “funzione sciamanica della comunità”, che è la capacità di avere una visione collettiva e di connessione tra i mondi visibili e invisibili. Crediamo che l’arte contemporanea sia in grado di attivare questa funzione sciamanica, consentendo alle comunità di aprirsi a visioni più ampie e di rallentare il ritmo frenetico della vita moderna. I nostri progetti spingono le persone nelle piazze a parlare, a discutere, a guardare opere d’arte, a progettare e a riflettere sul futuro. Questo per noi rappresenta la riattivazione della funzione sciamanica.
È un privilegio far parte del Partnership Studies Group dell’Università di Udine, guidato dalla professoressa Antonella Riem. Tre anni fa, abbiamo avuto il coraggio di creare il primo Master sullo Sciamanesimo in Italia. Nel contesto di questo Master, tengo un laboratorio sull’approccio contemporaneo allo sciamanesimo.
L’obiettivo è quello di utilizzare l’arte contemporanea per riattivare la funzione sciamanica delle comunità. Tutti i progetti di “Dalla Maschera al Volto” seguono questo filo conduttore.
DMAV Dieci Anni Importanti
Prendendo in considerazione il collettivo “Dalla Maschera al Volto”, vorrei condividere alcuni momenti significativi in modo non cronologico. Uno dei momenti importanti è stato il progetto chiamato Terraforma, che ha ispirato anche un libro curato da Olga Gambari, una giornalista e curatrice d’arte contemporanea di Torino che ci ha seguito in numerosi progetti nel corso degli anni. La collaborazione con Olga Gambari e il progetto Terraforma hanno segnato un momento fondamentale nella storia del collettivo “Dalla Maschera al Volto”, consentendo al gruppo di esplorare nuove dimensioni artistiche e di sensibilizzare il pubblico su tematiche per noi cruciali.
Durante una retrospettiva a Torino presso la Galleria Moitre abbiamo raccontato il percorso di “Dalla Maschera al Volto” dalla sua nascita fino a oggi. Siamo stati scelti nell’ambito del Premio Laguna Art Prize per esporre nello spazio dell’Arsenale a Venezia.
Un altro progetto che ci ha affascinato molto è stato il lavoro, in collaborazione con Cristina Sain e Start Cultura, sulle parole di Pasolini in occasione del centenario della sua nascita. Pasolini è una figura complessa, che ha vissuto, insegnato e suscitato sia odio che amore. Abbiamo voluto evitare l’effetto monumentale e istituzionale spesso associato a queste figure storiche; quindi, abbiamo deciso di riportare le parole di Pasolini nel paesaggio friulano che attraversava, senza filtri. In collaborazione con il Centro Studi e lavorando sulla sua calligrafia, abbiamo isolato quattro nuclei semantici. Questo lavoro è stato realizzato utilizzando delle luci d’artista, che di giorno sono quasi invisibili sui fondali trasparenti, ma di notte si accendono, creando un’atmosfera che richiama la visione sciamanica, connettendo passato, presente e futuro.
Un aspetto interessante dei nostri progetti è la creazione di percorsi che coinvolgono le persone: ad esempio abbiamo organizzato un meraviglioso tour in bicicletta per visitare tutte le installazioni, fornendo un’audio guida che offre un’esperienza sonora. L’obiettivo è quello di lasciare percorsi che abbiano anche una funzione di valorizzazione territoriale in chiave turistica.
Questo progetto ha somiglianze con ‘Doublin’, un progetto sull’opera di Joyce a Trieste che includeva installazioni luminose nel centro storico, in collaborazione con il Museo Joyciano.
Abbiamo realizzato anche il progetto “Innumera” ad Aquileia, che comprendeva numerose installazioni luminose che rappresentavano le tappe importanti per la storia della città, utilizzando vari codici linguistici, come numeri arabi, numeri romani, codice binario e codici simbolici minimalisti. Prossimamente, saremo a Brescia per un progetto di luci d’artista in occasione di Bergamo e Brescia Capitale della Cultura 2023.
Questi sono solo alcuni esempi di ciò che facciamo. Il collettivo ha raggiunto una maturità significativa e ci impegniamo a lavorare sia con grandi comunità che con organizzazioni che desiderano utilizzare l’arte per riattivare dinamiche sane e profonde nelle comunità e nelle organizzazioni stesse.
Abbiamo collaborato con diverse aziende, come IdealService, un’azienda interessante del territorio friulano che si concentra sul valore e sulla visione, aiutandola a creare un patto comportamentale e realizzando un’installazione nella loro nuova Hall. Stiamo intraprendendo lo stesso percorso con altre organizzazioni.
Un altro esempio è l’opera realizzata presso l’Università di Udine, in Palazzo Antonini, che esplorava il rapporto tra il corpo fisico e le realtà digitali. In questi progetti, cerchiamo di combinare gli aspetti razionali e strutturati della ricerca sociale e della progettazione politica con l’arte, creando uno spazio che favorisce conversazioni, incontri e alleanze basate su valori condivisi.
Sono particolarmente interessato al concetto di decentramento e all’antispecismo, che sottolinea l’importanza di considerarci parte di un tutto, piuttosto che al centro come consumatori di risorse. Credo che questa dimensione abbia un’urgenza sociale, economica e ambientale con cui tutti dobbiamo confrontarci.
Mi sento molto responsabile verso le future generazioni. A cinquant’anni, ho acquisito esperienza, ho affrontato sfide, ho sperimentato sia il successo che il fallimento. Tutto questo mi ha insegnato che è importante lasciare un’eredità che possa essere utilizzata per costruire il futuro. Sono grato di lavorare con persone di notevole spessore e spero di continuare a contribuire a questa missione con passione e dedizione.
Se il NonsoloWork avesse la lampada dei desideri cosa chiederesti al Genio?
Penso che uno degli archetipi fondamentali in questo momento sia il narratore. Il narratore ha a che fare con la capacità di trovare, raccontare, far girare le storie delle comunità, le storie importanti, le storie trasformative, che hanno un potenziale di cambiamento.
Oggi, questo archetipo è in difficoltà perché dal punto di vista dell’informazione siamo assolutamente in overload e continuiamo a essere bombardati da storie e informazioni, soprattutto sui canali digitale.
Viviamo un cortocircuito totale, non solo della memoria ma anche esistenziale, per cui secondo me, credo importante che oggi ci siano dei soggetti che, tra gli altri archetipi, sappiano incarnare il narratore e la narratrice, visti come figure che sanno scegliere, che sanno mediare, nel senso che trovano quelle storie che meritano di essere raccontate lentamente, indagando la connessione tra passato, presente e futuro con una grande capacità trasformativa.
La grande arte del narratore e l’arte del racconto, un racconto per parole, un racconto per immagini.
Quindi quello che mi colpisce è il fatto che voi vi siate dati come compito quello di andare a cercare delle narrazioni che possono essere messe a disposizione della comunità. Per questo, al genio della lampada chiederei, semplicemente, che voi continuaste a connettere storie.
Intrecciare storie, diffonderle e farle incontrare, soprattutto con questo interesse rispetto al processo generativo e trasformativo che hanno dentro una comunità è fondamentale: connettere storie è una vera e propria magia che può arricchire le generazioni che stanno entrando nella danza della vita, offrendo loro un tesoro di narrazioni preziose da esplorare, imparare e condividere.
Un Ringraziamento sentito a Alessandro Rinaldi che ci ha generosamente donato del tempo per raccontare la sua storia ricca di evoluzione al quale io in primis e tutti noi auguriamo di continuare la sua opera di ‘sciamano’ nella comunità.
*Approfondimenti: Il significato della parola dáimōn
Il termine “Daimon” ha origini nella mitologia greca e si riferisce a una figura spirituale o divina che agisce come guida o ispirazione per un individuo. Il concetto di Daimon è stato ampiamente discusso e interpretato in vari contesti filosofici e psicologici.
Nella filosofia di Socrate, il Daimon era considerato come una voce interiore, una sorta di coscienza morale che avvertiva o consigliava l’individuo sulle azioni da intraprendere. Secondo Socrate, il Daimon agiva come una sorta di “genio interiore” che guidava la persona verso la virtù e il bene.
Nella psicologia analitica di Carl Gustav Jung, il concetto di Daimon è collegato all’archetipo dell'”anima” o dell'”animus”. Il Daimon rappresenta l’aspetto nascosto dell’individuo, un’entità interiore che può portare trasformazione e realizzazione personale. Secondo Jung, ascoltare il proprio Daimon significa connettersi con le proprie profondità interiori e perseguire la propria vocazione o scopo nella vita.
È importante notare che il concetto di Daimon può variare nelle diverse interpretazioni filosofiche, spirituali o psicologiche. Può essere inteso come una guida interiore, un’ispirazione creativa, una voce di saggezza o un aspetto dell’essenza individuale. La comprensione del concetto di Daimon dipenderà dal contesto culturale e filosofico in cui viene utilizzato.
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